Onda dopo onda | il silenzioso movimento delle surfiste indonesiane

in collaborazione con Libere di viaggiare x edera rivista

Avevo deciso di raggiungere Batukaras, attratta dall'idea di un'onda lunga e morbida, capace di scorrere sotto di te con calma e farti credere, anche solo per un attimo, di padroneggiare il surf, quando di solito non fai che bere acqua.
Era inizio ottobre e, dopo un mese e mezzo in Indonesia, il paese delle isole e degli arcipelaghi, con le sue tante culture e religioni, non mi sembrava facile andarmene. Mentre mi trovavo a Yogyakarta, invece di prendere il treno per Jakarta e poi proseguire verso la Malesia, come avevo inizialmente pianificato, decisi di fare un'ultima deviazione.

Con mia sorpresa, riuscii a prenotare facilmente un pullman per Cijulang, un paesino sulla costa sud-ovest, a pochi chilometri dalla mia destinazione. Dopo ore interminabili di viaggio, alla stazione un uomo del posto si offrì di accompagnarmi a Batukaras in moto. Gli chiesi se avesse un'auto, visto che il mio zaino pesava quasi 15 kg, ma mi rispose di non preoccuparmi: si vedeva che ero una donna forte e che il viaggio sarebbe durato solo una decina di minuti. Così, senza altre parole, presi il mio zaino e partimmo. Inutile dire che non aveva neanche un casco da offrirmi. 

In Indonesia ci si abitua in fretta alla confusione, tra il rumore dei motorini, i suoni delle cucine per strada e le canzoni delle moschee. Ma Batukaras è un luogo dove il ritmo rallenta, diventando più silenzioso e tranquillo. Dopo aver lasciato lo zaino in una piccola guest house, mi incamminai verso il mare per ammirare il tramonto. La spiaggia, semplice e suggestiva con una distesa di sabbia vulcanica, era bagnata da un mare calmo. Il vento portava l'odore del sale e delle barche dei pescatori. L'onda, morbida e prevedibile, era perfetta per i principianti, ma abbastanza lunga da incantare anche i più esperti. La baia, chiusa da una scogliera verde, dava l'impressione di essere una giungla sull’oceano. Era sabato e la spiaggia era affollata da turisti locali in cerca di pace lontano dal caos di Jakarta. 

La scena che si svelava davanti a me era quella di un contrasto profondo, visibile e simbolico. Sulla sabbia, un gruppo di bambine e donne indonesiane sedeva lungo la riva, le mani intrecciate in un gioco che sembrava innocente, ma che nascondeva una storia di limitazioni. Indossavano abiti tradizionali e veli colorati, i piedi immersi appena nel mare che sembrava ancora un luogo troppo lontano, troppo grande per essere esplorato. Non sapevano nuotare, e la paura di non riuscire a dominare l'acqua tratteneva i loro passi. Questa è una realtà comune in Indonesia, dove meno del 10% delle donne che sanno nuotare. Un dato che evidenzia non solo la mancanza di educazione al nuoto, ma anche le limitazioni culturali che confinano le donne tra le mura familiari.

A pochi passi da loro, la scena cambiò radicalmente. Vedevo un gruppo di donne locali, sorridenti, a loro agio tra le onde. Alcune, completamente coperte da rash guard che rispettavano la tradizione musulmana, altre con i capelli sciolti al vento, sembravano sfidare senza parole le aspettative della società conservatrice. Mentre i movimenti delle altre sulla sabbia erano goffi e timidi, le ragazze che si alzavano sulle tavole e cavalcavano le onde sembravano incarnare una nuova libertà, una forza che veniva dal mare. Non era solo sport, ma un gesto che trasformava una parte della loro identità, un modo per recuperare spazio in un mondo che spesso le voleva relegare a ruoli ben definiti. Era difficile non notare il contrasto: la barriera culturale che separava quelle che restavano sulla riva da quelle che sfidavano l'oceano. 

Nei giorni successivi ad una lezione di yoga conobbi Vanya, una donna del posto di quelle che sorride con gli occhi. Vanya ha 32 anni, ma sembra più giovane. Vive a Batukaras con il marito e il loro bambino e, insieme, si ritagliano il tempo per surfare, una passione che li unisce profondamente. Fu lei a farmi entrare nel cuore del surf femminile di Batukaras. Nel 2019, insieme a un gruppo di donne locali, aveva lanciato una sfida simbolica: il surf in abiti tradizionali per celebrare la figura di Raden Ajeng Kartini, pioniera dei diritti delle donne in Indonesia. Quella giornata non fu solo una festa, ma l'inizio di un movimento che resisteva agli stereotipi e alle convenzioni. Con Vanya, capii che il surf qui non era solo uno sport: era un atto di emancipazione, una dichiarazione di libertà e coraggio. Raccontare le loro storie significava raccontare una rivoluzione silenziosa, quella di donne che, onda dopo onda, stanno cambiando la loro comunità. 

Il surf in Asia è sempre stato un dominio maschile, radicato in tradizioni culturali e religiose che limitano la partecipazione femminile. Da Bali a Lombok, il mare era territorio esclusivo degli uomini, tra surfisti e istruttori. La predominanza della religione musulmana imponeva alle donne ruoli domestici, relegandole spesso a compiti familiari. Tuttavia, Giava, con la sua storia complessa e la sua cultura vivace, ha segnato un punto di svolta per le donne di Batukaras. Qui, tra tradizioni islamiche, influenze balinesi e un turismo in crescita, si è aperto uno spazio per chi sfida le convenzioni. Batukaras, pur mantenendo una certa riservatezza, è diventato il cuore di un movimento silenzioso di emancipazione, dove le donne hanno trovato visibilità e autonomia. In questo contesto, la spiaggia è diventata simbolo di libertà, testimoniando come una lenta ma costante evoluzione sta cambiando il volto del surf femminile a Giava e oltre. 

Vanya mi portò in spiaggia dopo lavoro per farmi conoscere il resto del gruppo. Quando arrivammo, incontrai Fahrani e sua mamma. Fahrani ha 9 anni e ha imparato a surfare quando ne aveva 6. È la più piccola del gruppo, ma affrontava le onde con sicurezza e determinazione. Fahrani ha il labbro leporino, una condizione congenita che comporta molte difficoltà e ogni mese si recano a Jakarta, a dieci ore di viaggio, per accedere a cure migliori in attesa dell'operazione. Il surf per Fahrani è divertimento, una valvola di sfogo, forse un modo per sentirsi forte. E a me sembrava davvero fortissima.

Una delle ragazze mi racconta di come, dopo il matrimonio e la maternità, la pressione sociale sulla donna sia enorme. "Ci sentiamo obbligate a restare a casa, a prenderci cura della famiglia", mi dice. "Ma io riesco a fare entrambe le cose". Per lei, il surf è libertà, l'unico momento in cui la mente si svuota davvero e la felicità prende il sopravvento.

In Indonesia, il ruolo delle donne è influenzato dalle tradizioni culturali e religiose, specialmente nelle zone rurali, dove la struttura patriarcale è ancora forte. Oltre il 40% delle donne in queste aree è responsabile del lavoro domestico non retribuito, limitando così il loro tempo per attività come lo sport. Inoltre, il surf richiede risorse economiche che molte donne non hanno, rendendolo uno sport esclusivo per le più privilegiate. Attualmente, meno del 10% dei surfisti in Indonesia sono donne, la maggior parte delle quali proviene da contesti urbani e benestanti.

Maya, una delle ragazze più giovani, evidenzia un aspetto cruciale: in molte culture asiatiche, la pelle chiara è considerata un simbolo di bellezza e status. In Indonesia, questo ideale è così radicato che esiste un ampio mercato di creme sbiancanti. “Il surf richiede esposizione al sole e quindi abbronzatura, ma in molte zone è considerata un segno di trascuratezza”, racconta Maya. La pressione sociale è forte, soprattutto nelle aree più conservatrici, dove il corpo femminile è regolato da norme rigide. Eppure, nel gruppo di surfiste, c'è una grande accettazione reciproca: alcune si coprono interamente, altre indossano il bikini, ma l'importante è la connessione con il mare.

Tra di loro c'è anche Reni, una donna minuta con i capelli schiariti dal sole, quasi biondi. È una delle surfiste più ammirate di Batukaras. Ha iniziato a giocare con le onde e una piccola tavola da surf a soli tre anni, spinta dal fratello, e oggi il mare è la sua vita. La sua passione l'ha portata a conquistare una medaglia d'argento in una competizione nazionale, un traguardo che l'ha segnata come professionista. La sua tenacia e il suo successo sono un faro per le giovani, che vedono in lei la prova che una donna può infrangere le barriere sociali e culturali, affrontare le sfide con coraggio e ambire agli stessi traguardi degli uomini.

Il surf a Batukaras è diventato per queste donne un modo per sfidare non solo le onde, ma anche le aspettative che la società ha su di loro. Ogni volta che si alzano sulle tavole, superano un limite invisibile, conquistando uno spazio che spesso gli è stato negato. Il mare, così vasto e libero, diventa il loro terreno di crescita e resistenza, un luogo dove non c'è spazio per il giudizio, solo per il coraggio e la passione. È in quel momento, mentre scivolano sull'acqua, che capiscono che le vere barriere da superare sono dentro di loro, e che ogni onda affrontata è una piccola vittoria contro un mondo che le vorrebbe più piccole, più silenziose.


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